Il “sano buonsenso” è stato spesso in passato l’alibi per una sorta di moderatismo leggero, quasi impercettibile. Il buonsenso si rappresentava infatti nella celebre frase latina “in medio stat virtus”, che voleva dire scegliere la via mediana, non essere né di destra, né di sinistra, né avanguardisti, né retrogadi, né bianchi, né neri ecc. Questa via mediana mascherava quasi sempre una indecisione, una non scelta. Laddove l’azione è fatta di scelte nette, di decisioni. Se a un bivio non vado né da una parte né dall’altra finisce che sbatto la faccia al muro. Oppure, come l’asino di Buridano, non sapendo scegliere tra una pietanza e l’altra muoio di fame.
Eppure negli ultimi tempi questo valore sostanzialmente negativo del buonsenso è cambiato. Non perché il principio della scelta non sia sempre valido, ma perché le scelte attuali, in ogni campo, richiedono da parte di tutti un recupero del valore positivo del buonsenso. In altre parole se il buonsenso era un tempo intimamente reazionario e immobilista, perché coincideva con il “senso comune” dell’uomo borghese, pigro e individualista, oggi questo valore indefinibile, questo principio di realtà nel nostro rapporto con le cose deve essere rivalutato.
Diciamo dunque che il semplice “buonsenso” ha ripreso ad avere una valenza utile. Cosa che è direttamente proporzionale all’insensatezza di quello che accade nel mondo intorno a noi.
Facciamo degli esempi. Che senso ha costruire a Dubai il grattacielo più alto del mondo? Che senso ha spendere migliaia di miliardi per guerre inutili quando con un centesimo di quei soldi si potrebbero sfamare le disperate popolazioni di interi continenti? Che senso ha una società dei consumi, dove milioni di uomini e donne sono impegnati in una corsa a beni senza senso?
O ancora che senso ha mangiare frutta proveniente da continenti lontani, che viaggia su inquinantissimi jet transoceanici, quando poi si butta quella, pure ottima, che cresce sotto casa? E che senso ha parlare di posti di lavoro, quando non è mai in discussione il tipo di produzione che sottendono? Da ciò la necessità di un ritorno positivo al buonsenso, che dovrebbe ispirare non la non scelta, ma proprio le scelte indispensabili. Ad esempio uscire dalla crisi economica per riprendere lo stesso cammino perverso che ci ha condotto fin qui? Oppure cambiare strada e ridiscutere, in base al buonsenso, cosa serve e cosa non serve alla collettività e agli individui?
Una fabbrica di veleni micidiali che vengono poi impiegati per dei banali detersivi è da salvare?
La produzione di automobili inquinanti ha senso in un pianeta che corre rapidamente verso la catastrofe ecologica? Che senso ha continuare a produrre con il packaging rifiuti futuri pur di abbellire dei prodotti che appena acquistati vengono tolti dalle loro confezioni? Che senso ha usare le bottigliette usa e getta, quando ci sono già miliardi di bottiglie da smaltire e plastificare ogni confezione di quasiasi tipo quando già oggi miliardi e miliardi di sacchetti di plastica vengono usati, gettati fino ad essere ingoiati alla fine anche dalle balene in alto mare?
Gli esempi sono così tanti che potete moltiplicarli da soli. Ecco allora che su tante questioni basterebbe un po’ di sano buonsenso non per restare fermi al bivio, ma proprio per scegliere tra vita e morte, utile e inutile, bello e brutto.
Vignetta di Fabrizio Fabbri.
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