Il rifiuto del Treno ad Alta Velocità degli abitanti della Val di Susa non è un fatto locale. Non si tratta solo della protesta di un territorio contro una mostruosa e costosissima devastazione ambientale. E’ una scelta radicale tra chi intende la società umana come un insieme di persone che devono cercare di vivere meglio e chi invece vuole ridurre gli esseri umani ad appendici irrilevanti di un pazzesco sistema di sviluppo che porta solo veleno e morte. Per certi versi la lotta degli abitanti della Val di Susa contro la violenza della TAV è simile al rifiuto opposto dalla stragrande maggioranza degli italiani alle centrali nucleari. Perché il problema è quale società vogliamo costruire, ovvero cosa è utile e cosa non lo è per la nostra vita e per quella dei nostri figli, nipoti e pronipoti. Il Treno ad Alta Velocità, che dovrebbe correre dentro una galleria di cinquanta chilometri sotto le Alpi, è il frutto più clamoroso di un’idea malata dello sviluppo, secondo la quale dovremmo velocizzare al massimo lo scambio di merci, incuranti della necessità o meno di quelle stesse merci e di cosa questa accelerazione comporta per la vita delle persone.
In realtà se vogliamo sopravvivere dobbiamo cercare un altro tipo di sviluppo. Valorizzare la difesa dell’ambiente significa anche valorizzare la capacità di ogni territorio di produrre ciò che gli serve, ridurre la dipendenza dagli scambi, combattere una globalizzazione che ci costringe a sprecare immense quantità di energia e distruggere intere comunità e culture in nome del profitto di poche grandi compagnie multinazionali. Una globalizzazione che non solo annienta migliaia di specie animali e vegetali ogni anno, ma sta cancellando pericolosamente la stessa biodiversità culturale umana, riducendo la terra a una fabbrica di prodotti inutili per robot umanoidi senza identità.
Non a caso sull’atteggiamento verso la lotta della Val di Susa si misura anche la capacità della sinistra italiana di costruire una vera alternativa al cosiddetto berlusconismo, che potrebbe tranquillamente prosperare anche se Berlusconi andasse in pensione, in galera o al cimitero. L’alternativa per essere tale ha bisogno di scelte radicali, non di compromessi buonisti.
Basta vedere quello che è accaduto in Grecia e sta ora accadendo in Italia con la cosiddetta manovra anticrisi. A pagare non sono le classi dominanti, ma i poveri. A rimetterci non sono i pescecani che si sono arricchiti sullo sfruttamento della gente, ma la gente comune. Cosa che, attenzione, non è il frutto della cattiveria di Giulio Tremonti, il quale fa il suo mestiere di ragioniere del sistema, ma è la conseguenza inevitabile del sistema stesso, che pone al suo centro l’accumulazione di profitto e non può quindi andare a colpire chi accumula. Per questo la “logica economica” del Fondo Monetario Internazionale (con o senza Strauss Kahn) o della Banca Europea (con o senza Draghi) impone di tartassare non gli sfruttatori, ma la massa degli sfruttati.
Contro questa logica infernale che sta portando il pianeta intero alla rovina bisogna tornare a vedere le cose al di là del loro valore di scambio, per il loro valore d’uso. E forse utile la malattia? No, eppure c’è chi guadagna sulle malattie (l’industria farmaceutica). E questi guadagni fanno aumentare il PIL e ingrassano minoranze ultramiliardarie.
Infine un’ultima osservazione. Come già accadde a Genova nel 2001, come ormai accade ogni volta che la rabbia popolare supera lo steccato di una protesta educata (che poi viene regolarmente ignorata), ecco che qualcuno tira fuori i Black Bloc, che sarebbero i violenti. E qualcun altro cade nella trappola e invoca l’arresto di questi misteriosi “violenti”. Bisogna ricordare che si tratta di una falsificazione abissale. Lo Stato schiera duemila poliziotti in tenuta di guerra, usa gas lacromogeni velenosi, ma i violenti sono i giovani che protestano! No, non cadiamo in questa trappola, cui partecipano con colpevole ipocrisia anche tante pseudo forze d’opposizione. La violenza è dello Stato, che vuole spendere 17 miliardi di euro nostri per arricchire le imprese che bucheranno le Alpi, non dei giovani indignati che rifiutano di obbedire. In Val di Susa come in Grecia, a Genova nel 2001 come al Cairo nel 2011.
In alto una vignetta di Giuliano pubblicata su Frigidaire n.235.
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