FRIGIDAIRE
IL NUOVO MALE
VINCENZO SPARAGNA
FRIGOLANDIA
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FRIGOLANDIA: Museo e redazione di FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE, rivista di satira diretta da Vincenzo Sparagna. Coordinamento e grafica Maila Navarra
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Una risposta alle bugie di Vincino sul Male
di Vincenzo Sparagna - 7-12-2011

Mentre sono in edicola FRIGIDARE n.239 e IL NUOVO MALE n.3 di dicembre, lasciate che dica pubblicamente quanta pena ho provato ascoltando il mio (ex?) amico Vincino, rilasciare una specie di dichiarazione registrata falsa e calunniosa verso di me sul sito dello pseudo Male di Vauro e Vincino. Non so se le sue siano dimenticanze di una mente senile svanita o ciniche bugie dettate dal principio hitleriano che a ripeterle tante volte finiranno per sembrare verità. Ma devo pur smentire queste mostruose cazzate. Chiedo a chi mi legge solo un po’ di pazienza, perché si tratta di storie vecchie che non avrei mai immaginato potessero diventare occasione di polemica oltre 30 anni dopo. E cominciamo dalla domanda: chi era il direttore del Male? La pretesa di Vincino di essere stato (oltre che uno dei fondatori, cosa giustissima) anche l’unico direttore del Male dopo Pino Zac è una leggenda che ha costruito nella sua testa. Le cose andarono diversamente. Dopo le prime due uscite del Male nel febbraio 1978, cui non ho partecipato e che non mi piacquero affatto, Pino Zac mi chiamò e mi pregò di dargli una mano, perché il giornale non andava. E subito mi chiese di scrivere l’editoriale del n.3 (in copertina la testa di Moro nella forma di un peloso cazzo). Lo stesso Pino mi suggerì anche l’idea di una analisi del destino dei potenti attraverso i segni sulle loro mani (che non erano ovviamente le loro mani vere…). Uscì così il primo editoriale firmato Tersite ("O tempora, O moro!") e, sempre a firma Tersite, la famosa analisi della mano di Aldo Moro (al quale predissi una imminente carcerazione e, dopo alterne vicende, una brutta fine). La settimana stessa Moro venne rapito dalle Brigate Rosse e dopo pochi giorni Pino lasciò il Male e tornò a Parigi (perché tradito dalla fidanzata francese). A quel punto la precedente redazione, che veniva dal Sale e comprendeva ancora Vauro, si dissolse. In particolare se ne andarono Vauro e Mannelli, che erano iscritti al Pci e ci tenevano a non passare per estremisti, cosa che due mesi dopo rivendicarono anche sull’Unità, avallando l’idea che fossimo collusi con i terroristi.
La fuga di Pino e l’uscita di Vauro e Mannelli furono due fatti molto positivi, perché permisero di rifondare il giornale. Restarono, oltre a Vincino e a me, Angelo Pasquini, Roberto Perini, Sergio Angese, Sergio Saviane, Jacopo Fo, Francesco Cascioli, Marcello Borsetti. Una piccola assemblea, che, con qualche new entry, durò fino all’estate e produsse i primi due falsi (quello de "La Repubblica", idea di Marcello Borsetti e quello del "Corriere dello Sport", idea di Jacopo Fo, con gli editoriali sempre miei). La redazione era una specie di collettivo di lotta, dove si discuteva all’infinito. Per questo in primavera venne creato un comitato di direzione a tre che comprendeva me, Vincino, e Pasquini che fu presto sostituito dall’ultimo arrivato Piero Losardo, mio ex compagno alla Sinistra Universitaria di Napoli e uomo di sicuro genio. Da allora fino alla fine del 1981, salvo una brevissima parentesi al principio del 1981 (quando Vincino, spalleggiato soprattutto da Angese, volle richiamare alla guida del Male Pino Zac, nel tentativo di estromettere me e Piero dalla direzione) il Male fu diretto da Vincino, me e Piero Losardo. Mai da uno solo. Salvo che per i falsi di "Trybuna Ludu", giugno 1979, e della "Pravda", agosto 1980, che curai da solo in totale indipendenza ideativa, di scrittura e operativa, salvo un bel fotomontaggio di Cascioli e alcuni dettagli grafici della testata sulla Pravda.
In conclusione l’unico periodo in cui Vincino diresse da solo il Male fu quello finale, nei primi mesi del 1982, dopo lo scioglimento quasi completo della redazione tra accuse e controaccuse e le mie dimissioni dal Consiglio di Amministrazione (che Vincino presenta, sbagliando le date e tutto il resto, come un’espulsione che sarebbe avvenuta addirittura tre anni prima, alludendo confusamente alla storia del "Garofano", che racconto dopo). In quei pochi mesi il Male diretto dal solo Vincino chiuse, passando dalle decine di migliaia di copie a meno di mille. Questa è la storia reale della direzione del Male, il resto sono menzogne e vanterie vinciniane. Inclusa la favola secondo la quale lui mi “proteggeva” dall’odio degli “scrittori”. La verità dei conflitti interni, che non cessarono mai, è che mi proteggevo da solo, sia dagli odi e dalle gelosie interne di Pasquini, Jiga Melik ed altri, che, in certi momenti, da lui. Del resto mandare via me era impensabile, visto che scrivevo tutti gli editoriali, buona parte dei falsi e seguivo la fattura del giornale fino alle notti in tipografia. Oltretutto ero io a tenere tutti i contatti con Topor, Reiser, il gruppo di "Charlie" e gli altri autori stranieri. E vorrei anche far notare che nel ritratto collettivo della redazione fatto da Pazienza nel 1979, Vincino è definito “l’isola”, io “il genio”.
E passiamo alla faccenda del "Garofano". Nella fantasiosa ricostruzione di Vincino, io avrei tramato con i socialisti, “mettendo a repentaglio l’onore del Male” (ohibò, da che pulpito, visto che a parlare è un redattore stipendiato da Ferrara…). Ovviamente è tutta una cazzata. La cosa andò in modo ben diverso. Mario Canale ricevette la proposta di preparare, noi del Male, un giornaletto satirico per la campagna elettorale socialista delle politiche del 3 giugno ’79. Canale ne parlò a Piero Losardo, che ne parlò a me. Accettare come Male era del tutto escluso, per ovvie ragioni di compatibilità, oltretutto perché i socialisti ci stavano sui coglioni. Ma a noi due balenò l’idea di farne (senza dirlo a Vincino, perché avrebbe significato coinvolgere nel progetto tutta l'assemblea del Male), l’occasione di uno scherzo pesante ai danni proprio dei socialisti. Detto fatto ci presentammo alla direzione del PSI di Via del Corso io, Piero, Mario Canale e Dario Fiori (un collaboratore di Milano, geniale creativo di area autonoma). Spiegammo che come Male non se ne parlava proprio, ma, essendo dei professionisti della satira, potevamo farlo in rigoroso incognito… se ben pagati. I socialisti ci cascarono e noi preparammo il progetto di una piccola rivistina, senza nessun vignettista perché sarebbe stato riconoscibile dal segno. Il paradosso della rivistina, che chiamammo "Il Garofano", era che, con la scusa dell’autoironia, prendeva per il culo proprio i socialisti. In copertina una ragazza a seno nudo (foto ritagliata da una rivista porno) diceva ammiccante “Io voto socialista e tu?”. Quando andammo a presentare le bozze al PSI eravamo ormai convinti che ci avrebbero messi alla porta. Invece quegli imbecilli, con il ministro Gianni De Michelis in testa, approvarono ridendo fino alle lacrime. Così incassammo tre milioni in contanti ciascuno per il lavoro (non trenta io da solo… come dice nel suo delirio calunniatorio Vincino) e "Il Garofano" fu stampato da loro in 500 mila copie. La bomba era innescata. E scoppiò. Un tipografo comunista vide quella roba e, scandalizzato, la portò al PCI. Il giorno dopo Enrico Berlinguer in un comizio a Perugia la sbandierò davanti a una folla di donne dicendo: “Ecco la considerazione che i socialisti hanno di voi! Buone solo per andare a letto!”. Grande scandalo. Sull’Unità apparve la foto della copertina con la ragazza a seno nudo. Craxi si infuriò e chiamò De Michelis. “Coglioni, che cazzo avete combinato?”. Senza por tempo in mezzo i socialisti mandarono al macero le 500 mila copie e smentirono di aver mai pensato di distribuire il giornale. Si trattava, dissero, solo di un progetto, che era stato bocciato. A questo punto per recuperare l’unica copia rimasta del "Garofano" mi precipitai da Franco Poggianti, che dirigeva l’Ufficio Stampa di Botteghe Oscure, e gli raccontai della trappola satirica ai socialisti. Spiegai che la nostra idea (mia e di Piero) era di ristamparlo come Male per sputtanare i socialisti (che tra tangenti e mignotte erano il berlusconismo di quei tempi). Poggianti lo riferì a Berlinguer, il quale mi dette la copia in suo possesso. Finalmente io e Piero potemmo andare da Vincino a raccontargli tutta l’impresa e a proporgli di renderla pubblica con Il Male. Ma lui non capì e rifiutò, anzi si arrabbiò per averlo tenuto all’oscuro. Nell’assemblea prevalse questa posizione e "Il Garofano" restò inedito. Conseguenze per me, Losardo, Canale e Dario Fiori nessuna (altro che espulsione mia e salvataggio per bontà di Vincino…). Il Male semplicemente mancò una bella occasione di far perdere una milionata di voti ai socialisti. Io e Piero prendemmo atto che il nostro condirettore si era comportato da sciocco. Tutto qui. Eppure su una versione fantasiosa di questa storia Vincino imbastisce tutta la sua calunnia contro di me… l’onore del Male tradito, l’espulsione immaginaria ecc. Una balla di cui dovrebbe solo vergognarsi.
Ultimo paradosso semicomico di questa triste faccenda: per avallare le sue bugie Vincino chiama a testimoni alcuni dei collaboratori attuali del volgarissimo pseudo Male di Vauro e Vincino, ovvero Pasquini, Jacopo Fo e Jiga Melik. Un po’ come se Stalin avesse chiamato a testimoni delle sue infinite menzogne Molotov, Vysinskj o Beria, cioè i suoi complici nel massacro del comunismo e del popolo sovietico. Ma forse glielo ha suggerito Vauro, che, quando io attaccavo i regimi comunisti dell’est, era stalinista e che tale in fondo è rimasto, anche se sotto l’ala protettrice di un ex marxista-leninista-maoista oggi democratico come Michele Santoro.
Ahi, povera Italia!!!

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