L'individuo, ovvero la singola persona, il soggetto, l’io è una scoperta, una conquista che l’umanità ha raggiunto dopo secoli (o millenni) di branco. E’ questo concetto che impone il rispetto della libertà della persona umana, delle sue scelte e determinazioni.
Tuttavia, come si sa, l’individuo isolato non esiste, è sempre parte di un insieme sociale, culturale, linguistico, storico. Non solo perché se non si uniscono due individui (papà e mamma) non nasce nessun altro individuo, ma perché anche Robinson Crusoè, naufrago solitario sulla sua isola, continua in realtà a vivere socialmente, pensa in una lingua, agisce ricostruendo un sapere antico che gli deriva da secoli e millenni di culture che lo hanno preceduto. Anche quando mangia, quando sogna, quando vive in solitudine l’individuo è sempre una virtuale moltitudine di individui, di memorie, saperi e processi mentali che agiscono in lui dal passato e si trasmettono al futuro.
Perfino quando un individuo si ammala e muore il suo dolore, la sua disperazione non appartengono solo a lui. Il grido di Gesù sulla croce (“Padre, perché mi hai abbandonato?”) è anch’esso una prova: lo stesso “abbandono” rinvia a quel legame che ciascuno di noi sente con l’universo, con la madre, con la terra. La morte ci cancella, ma anche ci fa affondare nel “tutto eterno”, nel ciclo infinito che consola. Come i fiori che seccano e gelano, le foglie che cadono per sempre, ma che rinasceranno diverse/uguali in primavera, gli insetti che muoiono lasciando uova che in un altro tempo si schiuderanno a generare nuovi insetti.
Per questo la nostra vita finisce, ma la vita continua. E ciascuno sente che la vita del tutto, della specie, del mondo è anche un po’ la sua vita. Che si rappresenti nel sorriso consolatorio di una figlia o di un nipote, di un piccolo cane o di un gatto affettuoso.
Ma viviamo un tempo cupo e triste nel quale questo valore eterno e fondamentale viene nascosto. Ci fanno credere che l’io sia un assoluto, che gli altri, il mondo, sia solo uno schermo cinematografico, dal quale possiamo considerarci separati, come spettatori in una sala.
La straordinaria ricchezza del concetto di individuo si è trasformata nella miseria di un individualismo infelice e indifferente. Conto solo io, del resto non mi frega niente. E’ questa l’ultima frontiera di una società cieca che procede alla distruzione non solo degli individui, ma della vita stessa.
Questo individualismo perverso e meschino, sul quale avremo modo di tornare, poiché è il vero “mostro” contemporaneo, la vera “bestemmia”, si manifesta in mille modi.
Nella nostra piccola e umile avventura “frigolandese” si presenta nella veste dell’indifferenza.
Molti dicono di apprezzare le nostre idee, protestano contro il mondo che va a rotoli, contro le ingiustizie che rodono e avvelenano la vita, ma poi, di fronte alla “drammatica” prospettiva di spendere 100 euro (all’anno) per acquistare il nostro passaporto e consentire che il sogno di Frigolandia e la vita di Frigidaire proseguano, che la comunicazione s’allarghi, che l’arte abbia la meglio sul mercato, si ritraggono spaventati.
Non vorrete mica che rinunci a qualcosa, che ci rimetta di mio! Continuate, dicono, bravi, andate avanti, ma io che c’entro?
Abituati a una cultura che vive al servizio del potere, parassita nel suo concetto, essi non concepiscono l’autonomia e la libertà di Frigolandia, ci rimproverano di non avere “finanziamenti pubblici o privati” (che non rifiuteremmo, ma che – guarda un po’ – non ci sono). Fuggono come conigli di fronte alla ardua prospettiva di essere attori e non spettatori.
A costoro, vittime inconsapevoli della peggiore malattia contemporanea (l’individualismo appunto), io ripeto ancora una volta che “la libertà si paga di persona”.
Nella foto il "Teatro Naturale di Oklahoma" a Frigolandia, opera del Maestro Luciano Biscarini.
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