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REPUBBLICA di FRIGOLANDIA, redazione di FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE mensile di satira e idee, diretti da Vincenzo Sparagna

FRIGIDAIRE n.240 Vignetta di Ugo Delucchi. REPUBBLICA di FRIGOLANDIA, redazione di FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE mensile indipendente di satira e idee, diretti da Vincenzo Sparagna.Poesia e maledizione
di Vincenzo Sparagna - 28-10-2013

Mentre mi accingevo a scrivere un’altra invettiva su giravolte, bufale, chiacchiere e bugie della politica italiana, mi telefona un caro amico per annunciarmi con voce rotta che è morto Lou Reed, mito di più generazioni. Il giorno dopo nei titoli dei giornali torna la stremata categoria dei “poeti maledetti”. Per Lou Reed, come per altri artisti di questo secolo vissuti pericolosamente tra droghe e sfracelli di sé, il termine sembra appropriato. Eppure provo fastidio a vederlo usato così disinvoltamente, quasi che, tra le varie specializzazioni, ci fosse quella di poeta maledetto. La realtà è assai più amara. Ci sono alcuni artisti del segno, del suono, della parola e del gesto che avvertono con tale intensità il conflitto mortale tra la poesia e la crudeltà del mondo da rischiare la vita per cercare di superarlo. Talvolta sono celebrati come “poeti maledetti”, quasi che il loro fosse un cammino obbligato verso l’infelicità. Eppure non c’è alcuna relazione inevitabile tra la distruzione di sè e l’arte. Anzi direi che proprio la ricerca della forma (per Burroughs, come per Lou Reed e per tanti altri) è la via per ritrovare un equilibrio con il mondo oltre il dolore. Nessun vero artista scrive o canta per compiacersi della propria fragilità o della dipendenza dall’eroina, ma per ritrovarsi, per dare dignità e struttura alla disperazione. L’uso dell’espressione “poeta maledetto” è allora ambiguo. Da un lato spaventa la gente comune, facendo credere che ci si può ribellare all’orribile quotidianità solo rischiando la morte. Dall’altro imbroglia tanti giovani, che credono che per diventare artisti basti praticare una qualche banale “trasgressione” come assumere droghe pesanti o sballarsi di mojitos. No, la poesia è la ricerca di un rapporto di totale sincerità con il mondo, che può anche farci attraversare zone oscure e selvagge di noi stessi, ma sempre spinti dall’amore per la vita, quello che gli antichi sacerdoti dell’India chiamavano ardore.  

Vignetta di Ugo Delucchi, pubblicata su FRIGIDAIRE n.240 (gennaio 2012).

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