Nella tormentata Palestina la guerra non finisce mai. Il criminale lancio dei missili contro le città israeliane da parte di Hamas, la reazione “sproporzionata” di Israele: tutto sembra scritto in un copione ciclico e perverso che non prevede vie d’uscita.
Il problema dei problemi è che per gli israeliani si tratta in ultima istanza di conservare in vita lo stato d’Israele. Mentre i palestinesi sono divisi tra due strategie, assolutamente divergenti.
La prima, perseguita dall’attuale Autorità Nazionale Palestinese, è ottenere la formazione di due stati indipendenti, uno palestinese (sui territori della attuale Cisgiordania-ex Giordania e della striscia di Gaza-ex Egitto) e uno ebraico, Israele, entro i confini del 1967. La seconda, quella di Hamas a sud e degli Hezbollah sciiti a nord, ritiene invece irrinunciabile la distruzione dello Stato di Israele e la creazione di una Palestina unica, magari governata dalla legge islamica.
Per questa seconda posizione qualunque accordo è solo una tregua in una guerra inestinguibile che si concluderà solo con la distruzione di Israele.
Da ciò la tragedia che continua a consumarsi. Hamas non può rinunciare alla guerra, esiste per questo. Israele non può farsi bombardare senza reagire.
I missili di Hamas, va detto, sono sempre diretti esplicitamente contro la popolazione civile israeliana. I bombardamenti israeliani sono invece in teoria solo contro le “postazioni di Hamas”, ma inevitabilmente colpiscono e uccidono anche i civili che gli stanno intorno. E così i morti innocenti si moltiplicano senza fine…
La cosa più assurda è che sia in Israele, dove nell’imminenza delle elezioni tutti i partiti (da destra a sinistra) sono favorevoli all’offensiva contro Hamas, sia tra le file di Hamas, che punta ad un’estensione panaraba del conflitto, la guerra è ben vista.
Ma più assurdo ancora, anzi sinistramente grottesco, è l’atteggiamento di gran parte della sinistra italiana extraparlamentare o ex parlamentare, schierata ciecamente “dalla parte dei palestinesi”.
Per costoro le colpe sono di Israele, che non vuole trattare con Hamas… Non importa che Hamas non abbia alcuna intenzione di trattare con Israele, di cui non riconosce l’esistenza, come i suoi sostenitori ed armaioli, la Siria, l’Iran e altri paesi arabi.
Come trattare con chi non vuol trattare “per principio”? A questa banale domanda nessuno risponde. Certo gridare “pace subito” è sempre giusto. Ma che senso ha dirlo a una parte sola, Israele, mentre l’altra parte, Hamas, lancia missili e proclami di guerra totale? Meglio sarebbe invitare arabi e palestinesi ad accettare una volta per tutte l’esistenza di Israele e chiedere di fermare il lancio di missili e gli attentati suicidi contro i civili ebrei. Che è anche l’unica via per battere la destra oltranzista israeliana, che, con Hamas, gli Hezbollah, la Siria e l’Iran in guerra, ha buon gioco a sostenere che l’unico linguaggio che questi jihadisti capiscono è il rombo dei cannoni.
Ma ancor meglio sarebbe, per chi volesse essere davvero di sinistra, preoccuparsi – in un autentico spirito internazionalista e proletario come si diceva una volta - della solitudine politica delle popolazioni palestinesi, mantenute volutamente da decenni in condizioni di spaventosa marginalità dalle elite miliardarie che governano tanti paesi arabi (Egitto, Giordania, Siria, Iran ecc.), e dirette da gruppi o fanatici (Hamas) o corrotti (Al-Fatah), che ingoiano gli aiuti internazionali per acquistare armi e o semplicemente per rapine private (qualcuno ricorda i molti miliardi di dollari rubati da Arafat e lasciati in eredità privata alla moglie dopo la morte?).
Ma va di moda la kefiah, e, in sotterranea, c’è pur sempre l’antisemitismo che avvelena ogni giudizio… Qualcuno addirittura pensa che i “nazi-musulmani” di Hamas siano “compagni”.
Perciò si agitano le bandiere palestinesi e si bruciano quelle israeliane… si fa il tifo… come a una partita di calcio. Naturalmente dalla tribuna, senza rischiare niente, perché qui i missili non arrivano e i morti si vedono, almeno per ora…, solo in televisione.
Vignette di:
Giorgio Franzaroli
e Simone Pontieri.
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