La sinistra smarrita
di Vincenzo Sparagna - 14-3-2015
Cambiano le stagioni, si modificano le classi sociali, viene riscritta pure la Costituzione nei modi frettolosi che sappiamo, eppure non muta il desolante scenario di una ex sinistra senza idee in balia delle onde del tempo come una flotta dispersa nell’oceano dei suoi errori. Non fa piacere, ma la realtà è questa. E la colpa, diciamolo subito, non è del giovane Renzi, né del perfido Berlusca, né di nessuno dei portabandiera sedicenti radicali (Vendola, Ferrero, Landini e altri signori e signorine in rosso). Lo smarrimento della sinistra ha radici lontane, è il frutto di slittamenti progressivi del senso e del buonsenso, di antichi e spesso inconsapevoli tradimenti teorici, di ipocrisie a grappolo moltiplicate dall’opportunismo dilagante in ogni settore della società e dello Stato. A voler essere rigorosi un primo limite di fondo si ritrova già in Marx: è l’illusione che il capitale creando un proletariato sempre più vasto e compatto produca involontariamente la sua fine per mano degli stessi proletari (che si trovano nell’estrema e più insopportabile condizione dell’alienazione umana). Questa visione dialettica astratta che tanto affascinava Marx ha ispirato in vari modi, sia nelle versioni riformiste lassalliane, che in quelle rivoluzionarie di tipo leninista, tutti i marxismi storici. Seguendo questo schema pseudoscientifico il marxismo è diventato paradossalmente l’ultima e più raffinata ideologia del capitalismo stesso, fino a considerare “progressivo” ogni sviluppo del capitale in quanto premessa indispensabile della futura rivoluzione. Eppure, se si legge in profondità l’analisi di Marx, si scopre che l’idea di un rovesciamento automatico determinato dallo sviluppo del capitale e quindi del proletariato è intimamente contraddetta quando egli spiega che nella forma capitalistica le forze produttive diventano forze distruttive. Ed è quello che è accaduto. Il capitale ha sì allargato su scala mondiale il proletariato, ma spezzettandolo e facendone una moltitudine dispersa e disumanizzata, capace al massimo di difendersi in forme sindacali del tutto interne alla logica del profitto. Nello stesso tempo le forze produttive capitalistiche (delle quali fa parte anche la forza lavoro) si sono trasformate in elementi distruttivi dell’uomo e della natura, avvelenando il pianeta non meno della coscienza umana, fino a creare un doppio movimento perverso che ha condotto alle guerre catastrofiche del novecento e all’inquinamento ambientale e mentale odierno. Inoltre, pur essendo vero che il capitalismo ha in una prima fase spazzato vie le vecchie credenze e superstizioni (che però tornano oggi in forme aggravate, vedi islamismo wahaabita e fanatismi religiosi vari), non va dimenticato che ha generato nel corso del tempo nuove ideologie egoistiche e consumistiche anche più pericolose e invasive delle vecchie fedi.
Da dove ripartire allora? Perché non basta dire “rifondiamo la sinistra”, bisogna indicare sulla base di quali principi. Qui mi limiterò ad alcuni punti fondamentali. Il primo è il rifiuto dello sviluppo infinito, che è solo l’azzeramento progressivo delle basi naturali della vita. Il secondo è l’abbandono di ogni nostalgia di tipo sindacale, perché il soggetto di un cambiamento radicale è sì il proletariato, ma non come venditore di forza lavoro, bensì come moltitudine di persone, occupate o disoccupate, comunque distribuite in mille ceti e sottoclassi. Il terzo punto è l’indispensabilità di un forte intervento soggettivo nella storia, ovvero di una spinta volontaristica organizzata. Inutile aspettare che le cose evolvano da sé, il corso spontaneo degli eventi porta solo a una sempre più feroce e sanguinosa competizione di tutti contro tutti, alla guerra e alla distruzione universale. Infine non bisogna buttare via il bambino con l’acqua sporca salvando i positivi principi di libertà e democrazia e i diritti fondamentali conquistati con la rivoluzione francese del 1789. Concludo ricordando che tracce di questo scenario futuro, di una diversa idea di sinistra e di rivoluzione sono già visibili in molti movimenti e lotte ecologiche, politiche, culturali, per i beni comuni e i diritti. Perché siamo nel duemila non all’anno zero, anche se non c’è più un millennio da perdere.
Vignetta di Giuliano, pubblicata su IL NUOVO MALE n.21 (febbraio 2015).
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