Di fronte a due milioni di nordamericani, venuti a Washington da ogni angolo di quello sterminato paese, Barack Obama è diventato finalmente a tutti gli effetti il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Dell’entusiasmo suscitato dalla sua elezione ho già scritto nell’editoriale del 5 novembre 2008 (vedi nella sezione editoriali) e non starò qui a ripetermi.
Certo i problemi che dovrà affrontare sono enormi: le guerre in corso, la crisi dell’economia, l’emergenza ecologica planetaria. Obama dovrà tener conto degli interessi in gioco, combattere molti nemici, scendere a compromessi con potenti lobbisti, resistere a mille pressioni ed evitare infiniti errori. Ma credo che un nuovo corso sia cominciato e il suo ispirato discorso d’insediamento lo conferma. Anche le sue primissime decisioni, la sospensione dei processi illegali e l’annuncio della chiusura della mostruosa prigione di Guantanamo, sono di buon auspicio per il futuro.
Si dirà che in ogni caso gli Stati Uniti restano una potenza capitalistica, con tutti i guai, le storture e le ingiustizie profonde che questo sistema porta con sé.
Ma bisogna partire dalla considerazione realistica che il capitalismo non può essere “abolito per decreto” (chiunque faccia il decreto, Obama o il più radicale dei rivoluzionari), né potrà mai essere abbattuto in un solo paese (su questo l’orribile esperienza staliniana ne è stata una tragica controprova).
Vi è dunque ancora un lungo cammino che ci attende per costruire una società solidale e abolire lo sfruttamento. Ed è un cammino che non riguarda solo la sfera della politica, anzi deve investire massicciamente il corpo sociale più profondo in America come altrove.
E’ necessario che cresca la consapevolezza dell’unità dei destini umani, che si affermino tolleranza e rispetto reciproco, che si scelga la via della pace e non della guerra, che vengano varati nuovi ed efficaci progetti di solidarietà e cooperazione internazionale.
In questo senso uno dei punti fondamentali del discorso di Obama è stato il forte richiamo al principio di responsabilità di ciascuno: il futuro non è solo nelle mani dei governi, ma di tutti noi.
Ma i buoni propositi e le belle parole di Obama non avrebbero avuto l’effetto entusiasmante che hanno avuto, sarebbero state vuota retorica, se le avesse pronunciate un politico “qualsiasi”.
Quello che ha dato tanta forza al suo discorso d’insediamento è che Obama non si presenta solo come un “predicatore”, ma come uno che dà l’“esempio”.
La sua storia di avvocato dei diritti civili nei quartieri neri di Chicago, il gesto simbolico di andare a fare volontariato alla vigilia dell’investitura presidenziale, tutto ci dice che nell’epoca della comunicazione istantanea, dello stravolgimento imperiale dell’informazione, è più che mai attuale la coincidenza di parola ed esempio.
Anzi, per tanti versi, l’esempio è anche più importante della parola.
Sarebbe bello se questa lezione venisse in qualche modo compresa anche da noi. Perché qui in Italia il ceto politico si è reso completamente estraneo al popolo, ponendosi come casta separata, regalandosi privilegi a raffica, autoriproducendosi per cooptazione.
Questa separazione è quasi scontata per le destre, ma è una sciagura per le sinistre, che con l’esempio, assai più che con la parola, dovrebbero dimostrare la loro diversità.
Per questo servono uomini e donne nuove, che sappiamo mobilitare le coscienze e sollecitare la responsabilità di ciascuno in un mutamento radicale che non può avvenire solo per via politica e istituzionale.
Ecco un’altra ragione per cui è indispensabile consolidare ed aprire a nuovi protagonisti la nostra Repubblica di Frigolandia e la nostra rivista Frigidaire. Chi vuole partecipare non esiti a farsi vivo!
Vignetta di Fabrizio Fabbri. Colori di Maila Navarra.
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