E' consuetudine affermare che l’arte, l’invenzione, il racconto non possono svilupparsi se non in un clima e in una condizione di libertà. Su questa affermazione concordano tutti.
Ma la triste realtà di oggi, almeno in Italia, è che la libertà della ricerca artistica praticamente non esiste. Il suo decadimento procede di pari passo con la perdita della libertà in generale. Viviamo in un regime che ha fatto dei progressi spaventosi nella direzione del controllo, che si è strutturato in modo verticale e che impedisce l’accesso alla comunicazione da parte di chiunque non faccia parte di una delle poche e selezionate cupole paramafiose che guidano lo Stato come la società civile.
Certo questa verticalizzazione imperiale procede in parallelo alla infinita molteplicità delle voci più diverse, che si manifestano sul web, tra siti, blog ecc. Ma curiosamente proprio l’enorme molteplicità delle voci “autonome” ha creato una nuova forma di censura: la censura del rumore.
Così mentre al vertice della grande comunicazione il controllo è diretto e spietato, nei sotterranei sociali c’è un vociare confuso, in cui qualsiasi voce è soffocata dal numero delle voci, qualsiasi espressione cancellata dalla sua irrimediabile piccolezza.
La conseguenza di ciò è che anche moltissime voci teoricamente “libere” non fanno che echeggiare, rimbalzare involontariamente, scimmiottare le voci imperiali.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare in ogni campo.
Dal controllo monopolistico delle sale cinematografiche, che impedisce a nove film su dieci di arrivare al pubblico, al controllo sulle presenze televisive, che si riducono a un circolo di nomi e facce sempre uguali, legittimate dalla loro stessa ininterrotta presenza.
E non parliamo poi dell’universo dei giornali.
Su migliaia di testate in edicola pochissime, o nessuna (vista l’assenza di Frigidaire) è uno spazio davvero autonomo o libero. Tutte sono proiezioni di pochissimi grandi blocchi di potere e megagruppi capitalistici. Un fenomeno che non riguarda solo le infinite testate di Berlusconi & C., ma investe l’intero sistema della comunicazione.
In più i quotidiani italiani, che sono non a caso tra i meno letti del mondo, hanno il vizio strutturale di rivolgersi quasi esclusivamente al mondo dei “politici” di professione, ormai separati come casta privilegiata dai comuni cittadini. Si parlano addosso, allo stesso modo in cui gli ospiti di certi talk show (sempre gli stessi) si parlano tra loro… rigorosamente divisi in campi distinti, impegnati in spettacolini dialettici che non hanno alcun contenuto autentico.
Nelle fiere del fumetto infine all’enorme potenza dei fumetti pop più idioti e dispersivi, dai Mazinga ai Tex, si oppone senza alcuna forza una miriade di piccoli giornali e giornaletti, magari pieni, come certi siti e certi blog, di contenuti interessanti e innovativi, ma rigorosamente chiusi in un recinto per pochissimi lettori, con tirature risibili e nessuna diffusione reale. Anche qui c’è un guardarsi allo specchio che produce poco o nulla e comunque non intacca la grande comunicazione imperiale.
La ragione per cui abbiamo fondato Frigolandia è rompere questo schema e portare la ricerca artistica vera, oggi stretta nelle caverne e nei sotterranei della marginalità, alla luce del sole.
Per me, per noi, è l’unico modo per rimettere in circolazione un’arte e un racconto davvero liberi, ma al momento lo capiscono in pochi, quasi tutti giovani, quasi nessuno dei nostri vecchi collaboratori d’antàn. Questi ultimi, spesso vicini alla pensione, sembrano rassegnati a vivere in questa condizione di illibertà strutturale, mitigata da un libretto pubblicato, da una mostriciattola antologica, da un lavoretto di riporto.
Insomma navighiamo controvento in un oceano di merda, ma quando diciamo a qualcuno dei “vecchi” che potrebbe salire a bordo e liberarsi della melma che lo circonda, ci sentiamo spesso ripetere che sarebbe bello, ma che non può certo spendere i 100 euro all’anno del nostro passaporto…Viene il dubbio serio che a certa gente la merda piaccia.
Noi invece preferiamo l’aria pura, il cielo limpido e lottare contro il vento…
Meglio morire liberi, che vivere da schiavi.
Vignetta di Giorgio Franzaroli.
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