Oggi è il 4 luglio, l’Independence Day americano, festa che ricorda la fondazione degli Stati Uniti d’America, ovvero la liberazione dei coloni dalla dominazione britannica e la nascita di un paese formato da profughi di tutto il mondo.
La storia cominciata allora non è stata certo né facile, né solo gloriosa. Nei decenni seguenti quelle stesse idee di libertà che avevano animato la dichiarazione di indipendenza di George Washington sarebbero state mille volte contraddette dalle guerre di sterminio dei nativi americani, dalla schiavitù nelle piantagioni di cotone del sud, dall’apartheid che ancora per oltre un secolo e mezzo avrebbe pesato come un macigno sul primitivo sogno americano di una società di eguali.
Eppure quel 4 luglio rimane nella memoria come uno spartiacque tra l’epoca in cui l’Europa, nella forma degli imperi britannico, francese, spagnolo, portoghese, olandese, era il centro del mondo e il mondo attuale non più dominato da un unico centro.
A quella rivoluzione americana si ispirò di lì a qualche anno anche la rivoluzione francese e l’America del Nord fu per decenni l’unico paese dove si poteva progettare una vita libera, senza i re, l’aristocrazia e il clero a far da padroni.
In ultima analisi il 4 luglio fu il modello di tutte quelle rivoluzioni che posero fine dopo lunghi travagli all’epoca coloniale, poiché affermava la legittimità della rivolta contro la tirannìa. paradossalmente anche quella americana del secolo seguente nei paesi ex coloniali come il Vietnam.
Certo più simile a quella del Nord America fu la liberazione del Centro e Sud America dal dominio spagnolo e portoghese, mentre diversissima è la storia che ha condotto alla liberazione dal dominio occidentale della Cina, dell’India e di tanti paesi asiatici e africani.
Nelle Americhe erano i coloni che si ribellavano alla madre patria, altrove popoli di civiltà antichissime che si riappropriavano della loro storia, violata e negata dalle potenze coloniali.
Eppure anche nelle rivoluzioni contro il colonialismo si può trovare l’eco di quel diritto alla libertà che i padri degli Stati Uniti impressero come un marchio indelebile alla loro rivolta.
Oggi alla guida degli Stati Uniti c’è Barack Obama, il cui nome e la cui storia meticcia indicano quanta strada sia stata percorsa dal 4 luglio del 1776. I diritti proclamati quel giorno, “life, liberty and the pursuit of happiness”, alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, sono oggi alla base di qualsiasi lotta in qualsiasi parte del mondo. Così come il diritto conseguente a ribellarsi contro chi nega quei diritti. La discussa legge americana che consente ai cittadini di detenere armi è la diretta conseguenza di questo diritto a ribellarsi contro la tirannìa, anche quella del proprio Stato.
Ora, per venire a noi, l’Italia è oggi governata da una cricca mafioso-affaristica che, ammantandosi di un ipocrita filoamericanismo vuoto e bugiardo, la sta trasformando in un paese senza libertà. Approfittando del suicidio bipolare dei cosiddetti “democratici” alla Water Veltroni e sotto le bandiere del governo assoluto della maggioranza (che non è nemmeno maggioranza…) si allargano le distanze tra poveri e ricchi e vengono approvate orribili leggi razziali, come quelle contenute nell’ultimo “pacchetto sicurezza”, grazie al quale milioni di nostri fratelli, per il fatto stesso di non essere italiani, sono perseguitati come criminali e trattati da schiavi.
Forse non siamo ancora alla dittatura e certo le armi sono uno strumento immorale e obsoleto per una vera ribellione che apra la strada al futuro e non a una nuova tirannìa.
Ma c’è da chiedersi con angoscia e rabbia: fino a quando compagni?
Vignetta di Simone Frosini.
|