Giulio Regeni: la luce e il buio
di Vincenzo Sparagna - 20-09-2018
Ultimo in ordine di tempo tra le autorità dello Stato italiano, Roberto Fico, presidente della Camera, uno dei rari dirigenti pentastellati disponibile al confronto anche con chi la pensa diversamente, si è recato al Cairo per chiedere nuovamente al presidente egiziano Al Sisi di facilitare le indagini giudiziarie sull'assassinio di Giulio Regeni. Richiesta sacrosanta visto che da due anni le autorità egiziane, magistratura inclusa, non hanno fatto altro che costruire depistaggi, scoprire falsi colpevoli, perseguitare gli avvocati della famiglia, far trapelare infamanti allusioni su fantomatici legami di Regeni con i servizi inglesi ecc. E tuttavia sospetto che anche questo viaggio non sia altro che una nuova "foglia di fico" (mi si perdoni il bisticcio linguistico) per nascondere la realtà di quella tragedia. Sulla quale purtroppo non è possibile "fare luce" perché tutto è sempre stato chiarissimo. Regeni, che conduceva una ricerca per conto dell'Università di Cambridge sulle organizzazioni sindacali clandestine in quel paese, è stato sequestrato dai servizi segreti egiziani, torturato per una settimana per cavargli ogni informazione possibile e poi lasciato cadavere su una strada periferica come ammonimento per chi volesse ancora investigare sui soprusi del regime. Un crimine orrendo ma non isolato, anzi negli ultimi anni perfino consueto in un Egitto dominato dal putridume della corruzione, dall'ipocrisia religiosa e dalla violenza. Del resto per avere un'idea della realtà sociale egiziana basta leggere qualcuno dei coraggiosi romanzi di 'Ala al-Aswani ("Palazzo Yacoubian", "Sono corso verso il Nilo" ecc.) pubblicati in Italia da Feltrinelli. Sorprende allora la "ingenuità" (o malafede?) di tutti i politici italiani che sono andati a domandare al generale Al Sisi, mandante e responsabile di questo e di tanti altri delitti, di denunciare gli sgherri ai suoi ordini e il sistema criminale che dirige. Si tratta di una richiesta cui mai il generale potrà rispondere. Ma perché l'Italia, dopo l'omicidio Regeni, non ha semplicemente interrotto ogni rapporto con questi militari egiziani crudeli, fanatici e corrotti? La risposta è chiara. I politici la chiamano "realpolitik", ma in fondo si tratta solo di soldi. Quante imprese italiane operano in Egitto, quanti appalti otteniamo con la nostra ipocrisia diplomatica, quanta gente - anche gente comune - campa grazie ai traffici di armi, petrolio e altre merci con feroci dittatori come Al Sisi? La verità è che siamo tutti, consapevoli o ignari, come degli insetti presi in una ragnatela fatta di interessi, vittime di un capitalismo globale che ci fa vivere e contemporaneamente avvelena i nostri corpi e le nostre menti. Politici onesti dovrebbero almeno dirlo, cercare una strada per uscire da questa trappola infernale. Ma è una scelta difficile e impopolare, che potrebbe costare rinunce e sacrifici, più comodo è gridare "onestà", chiedere luce e continuare nel buio a fare affari, anche se sporchi di sangue.
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